In questo momento di emergenza sanitaria, il rischio che una persona con disabilità venga discriminata nell’accesso alle cure è dietro l’angolo. Del resto già prima della pandemia, i disabili in ospedale erano costretti a districarsi tra macchinari inadatti, personale non adeguatamente formato, attese prolungate, vere e proprie “barriere sanitarie”.
Per affrontare la gestione del rischio COVID-19 nelle persone con disturbi del neurosviluppo, con disabilità intellettiva, che vivono in strutture semiresidenziali, residenziali o che si trovano in contesti lavorativi, l’associazione ASMeD – Associazione per lo studio dell’assistenza medica alla persona con disabilità e la Società Italiana di Ergonomia e Fattori Umani hanno elaborato una guida ad hoc.
Si tratta di indicazioni operative igienico-sanitarie ed ergonomiche messe a punto durante questi lunghi mesi di pandemia da SARS-CoV-2 sulla base dell’esperienza di un gruppo di professionisti che da tempo si dedicano al tema di diritto alla salute e disabilità.
La cooperativa “Spes Contra Spem”, da anni impegnata sul fronte dell’assistenza ai disabili gravi e promotrice della “Carta dei Diritti delle Persone con Disabilità in Ospedale”, vuole farsi portavoce del documento, anzi megafono su tutto il territorio italiano, perché non si ripetano più storie come quella di Tiziana, ragazza con disabilità che viveva in una delle case famiglia di ‘Spes contra Spem’, morta nel 2004 in un ospedale romano, sola e inascoltata. Nessuno aveva prestato ascolto ad alcune sue semplicissime richieste, come quella di chiudere una finestra o di abbassare l’aria condizionata.
A quali condizioni il caregiver, cioè la persona che si prende cura di una persona disabile, può essere una risorsa per l’ospedale e per la persona stessa?
È sempre più necessario pensare a una medicina “su misura”. Cure appropriate significa risposte diverse da costruire nei contesti in cui ci si trova. È necessario cambiare paradigma.
Solo qualche esempio: è possibile effettuare il tampone in sedazione a coloro che non potrebbero farlo diversamente, oppure si possono ricercare soluzioni alternative adattate ad ogni singolo caso, sostenibili, ugualmente valide nella diagnosi e nel tracciamento dei contagi (raccomandare pratiche come il tampone salivare); con un posto libero in reparto, è possibile accogliere in ospedale il caregiver assieme alla persona con disabilità sospetto Covid e, in assenza del posto libero, si può predisporre una poltrona letto, creando le condizioni di sicurezza per tutti.
Per attuare l’obbligo di distanza fisica e mascherina, nelle strutture semiresidenziali e residenziali, possiamo coinvolgere le persone con disabilità senza imporre necessariamente regole, ma ad esempio giocando a lavarsi le mani dopo averle immerse nella cioccolata, danzando il tango a un metro di distanza e perfino immaginando di essere la Banda Bassotti quando si indossa la mascherina.
Sono alcune delle buone pratiche descritte nella Guida, tenendo in equilibrio il diritto alla salute fisica con il diritto alla salute psichica, che deriva dalla possibilità di condurre una vita quanto più possibile simile a quella della popolazione generale.
“Se rimettiamo al centro le persone e costruiamo le risposte attorno ai più fragili, agli ambienti di vita e di cura, elimineremo gran parte delle rigidità che sono di ostacolo nell’accoglienza e nell’assistenza di queste persone. I protocolli e le buone prassi verranno di conseguenza”, spiega Luigi Vittorio Berliri.
Questo lavoro parte dal presupposto che tutte le persone abbiano diritto a una vita dignitosa e ricca. È un dovere di giustizia da parte della società mettere in grado le persone con disabilità di essere curate su una base di eguaglianza e non discriminazione, come è sottolineato anche nella Convenzione delle Nazioni Unite e nella ‘Carta dei diritti delle persone con disabilità’, che traduce i diritti contenuti nella “Carta europea dei diritti del malato”.